Il design minimalista tra le golosità gourmand
La cucina romana affonda le sue origini nella storia e ancora oggi, nella Città Eterna, convivono la cucina
dei Papi, quella ebraica e quella del mercato, del popolo, probabilmente la più conosciuta e trasmessa,
di generazione in generazione, in ambito familiare.
Tutta si fonda, per lo più, su ingredienti di derivazione agricola e contadina, frutti generosi delle aree così fertili del Lazio, ottimali per le coltivazioni, il pascolo e l’allevamento.
La città si estende ai Castelli, all’Agro, ed è proprio questa esplicita ruralità che contraddistingue la vasta e suggestiva area della campagna romana.
Da lì provengono il famoso “pecorino romano” e le “mammole”, utilizzate per la preparazione dei “carciofi alla giudia”, la cui origine è da ricercarsi nella tradizione del ghetto ebraico
di Roma.
Il carciofo alla giudia veniva preparato e mangiato soprattutto alla fine del Kippur, o festa dell’espiazione, durante il quale gli ebrei si sottopongono al digiuno. La caratteristica di questo piatto è la doppia frittura
che regala la croccantezza desiderata.
Lettino Chelsea di teak
Tavolo rettangolare Chelsea allungabile 260 cm
Altre tre ricette, che si contendono il primato del piatto per eccellenza, sono la “carbonara”,
la “cacio e pepe” e la “gricia”. Ancora oggi si alternano le scuole di pensiero che vedono primeggiare
un formato di pasta rispetto all’altro (tonnarelli, rigatoni, spaghetti…) ma sarà difficile che non troviate
una delle versioni in qualunque trattoria che si rispetti.
Modulo sinistro Welcome in teak cm 138
Modulo destro Welcome in teak cm 138
Poltrona Welcome in teak
Poltroncina Experience impilabile
Anche all’alta cucina piace giocare su questi piatti di tradizione, rendendoli contemporanei, dunque persino
i grandi chef vi potranno regalare la propria versione.
Quello che è importante nella corretta esecuzione della carbonara
e della gricia è l’utilizzo del guanciale, non della pancetta.
La gastronomia romana è anche “quinto quarto”, dunque non si può prescindere dalla “coda alla vaccinara” che, nella cucina più povera, era un piatto di recupero perché fatta lessare, all’inizio, per utilizzarne il brodo in altre preparazioni e poi continuandone la cottura in tegame,con un soffritto di odori e una fettina di prosciutto.
Quindi veniva aggiunta la salsa di pomodoro, lasciando proseguire la cottura fino a donare ai commensali
un piatto straordinario.